«La solitudine non ricercata ma imposta dalle circostanze è un aspetto estremamente negativo in ogni fase della vita, in particolare in età avanzata, quando l’accompagnamento, la vicinanza, il supporto sono fondamentali per vivere bene e a lungo». A sostenerlo insistentemente e con convinzione è Marco Trabucchi, professore emerito di Neuropsicofarmacologia nell’Università di Roma “Tor Vergata” e presidente dell’Associazione italiana di psicogeriatria.
Nella esperienza della Piccola Casa capita spesso che una famiglia si rivolga a noi perché vede l’anziano sempre più triste, isolato, ripiegato su se stesso, senza stimoli, senza interesse per il mondo che lo circonda. Perché «invecchiare è un’arte difficile», come dice Trabucchi. E la famiglia è ovviamente in prima linea nel tentativo di cercare una modalità per assicurare al proprio caro qualità della vita anche in età avanzata: «Lo stile di vita passato e presente – spiega il professore – determina in buona parte la condizione di salute psicofisica di chi invecchia: dare attenzione alle modalità con le quali ogni donna e ogni uomo ha trascorso e trascorre il tempo di vita è il punto di partenza per costruire una terza e quarta età in salute».
Un centro diurno demenze non è soltanto il luogo dove operatori professionali cercano di rallentare il decorso della malattia con attività di stimolazione cognitiva: è anche – forse soprattutto – un luogo di recuperata socialità, confronto positivo, più o meno consapevole, con chi è nella propria stessa condizione, esercizio della memoria dei momenti intensi della propria vita, ma anche gioco, spensieratezza.
È stato dimostrato un legame tra la solitudine e un elevato carico di beta-amiloide nel cervello, la sostanza che è il marker più noto di malattia di Alzheimer. Il dato è di estremo interesse […]: vi è infatti la possibilità che la solitudine non sia solo una fattore di rischio, ma anche un marker precoce della demenza. In ambedue i casi, però, resta l’importanza di alleviarla. [M. Trabucchi, «Avvenire»]
Troppe volte le famiglie ricevono tardi il consiglio della frequenza di un centro diurno da parte del medico di base o dello specialista, specialmente da noi al sud, dove lo stigma di questa malattia è ancora molto forte e la tendenza a risolvere in casa ogni questione è molto presente. E invece tanto prima si comincia a dare una risposta professionale alle esigenze che la demenza pone all’anziano e al suo nucleo familiare, tanto più possono essere efficaci le terapie non farmacologiche rappresentate dalle attività degli educatori e degli psicologi dei centri diurni.
«Farsi prossimo – ha ammonito di recente papa Francesco – significa impedire che l’altro rimanga in ostaggio dell’inferno della solitudine». E questo è tanto più vero quando «l’altro» è un anziano.
IL grave problema è che nel mio paese, in provincia di Roma (Segni), non ci sono centri diurni e neanche a Colleferro , città a 4 km di distanza . Siamo lasciati soli, noi e gli anziani affetti da demenza .E’ una vergogna!